Matteo è nato nel 1999 ed ha finito lo scorso mese di giugno un apprendistato quale mediamatico, diventando quindi uno specialista nell'utilizzo e nell'applicazione di tecnologie della comunicazione nei settori della gestione multimediatica e informatica. È appena stato assunto in un’importante impresa industriale del cantone Ticino che produce macchinari tessili.

Matteo non capisce perché quando durante le riunioni vuole sapere la posizione dell’azienda circa il cambiamento climatico, le disuguaglianze di reddito e la provenienza delle materie prime i suoi colleghi lo guardano male. Per lui, come per i suoi coetanei della Generazione Z, sono questioni significative e non vuole lavorare per un datore di lavoro di cui non condivide missione e valori.
Un’altra cosa che lascia davvero perplesso Matteo è che la propria azienda non è ancora presente sui social: ma come è possibile? Come fanno a non capire l’importanza di comunicare con i giovani? E perché i suoi colleghi pensano che sia un’inutile perdita di tempo?
Solo la sua collega Valentina – una millennial nata nel 1992 e arrivata in azienda poco prima di Matteo – condivide l’importanza della comunicazione sui social e soprattutto condividere con i collaboratori e l’opinione pubblica i valori dell’azienda.
Non è sicuramente facile per le imprese capire i ragazzi della generazione Z, avendo appena fatto in tempo ad imparare a convivere con i Millennials.
Ricordiamo che nel mondo del lavoro oggi convivono generazioni molto diverse:
- Baby Boomer (1945-1960)
- Generazione X (1961-1980)
- Generazione Y, i Millennials (1981-1994)
- Generazione Z (1995 - )
e sebbene la convivenza multigenerazionale sia sempre stata una realtà sul posto di lavoro, i rapidi progressi tecnologici e gli eventi socio-culturali vissuti negli ultimi decenni hanno reso i team più diversificati che mai.
Ma così come successo con Valentina, anche l’arrivo di Matteo deve essere considerato un’opportunità di crescita e uno stimolo per condividere e migliorare la propria immagine attraverso i social media, che sempre di più saranno (l’unico?) canale per attrarre i baby talenti, che ancora di più rispetto ai loro fratelli maggiori, utilizzeranno questi canali per cercare un posto di lavoro.
Con le loro competenze tecnologiche, il loro desiderio di cambiamento culturale e una volontà ancora più pronunciata di voler meglio conciliare vita privata e professionale, possono rappresentare sì una sfida per le aziende, ma anche un importante propensione al cambiamento a favore di tutte le generazioni.