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Volevo crescere. Mi hanno regalato dei trampoli.

   
AITI
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Ma quanto è difficile capirsi?

“Tu che lo conosci meglio di me, cosa credi gli possa far piacere per il suo compleanno?” – “Mah guarda, a dire il vero è un tipo molto riservato. Qualche tempo fa però l’ho sentito parlare con entusiasmo della sua crescita e del fatto che volesse dedicarsi al proprio sviluppo”.

 

Disporre di informazioni sui bisogni di chi ci sta intorno ci permette di poterci occupare di loro, con attenzione, con cura. Chissà allora perché ci risulta così difficile chiedere direttamente alle persone interessate? E se chiedessero a noi quali siano i nostri bisogni sapremmo rispondere?

Fa parte di una convinzione sociale molto diffusa alle nostre latitudini. Crediamo sia poco opportuno comunicare i nostri desideri e bisogni, per pudore. Crediamo anche che chiedere queste cose sia sfacciato, non osiamo oltrepassare un confine privato, quasi intimo.

Volevo crescere. Mi hanno regalato dei trampoli.

Un bel problema questo dell’imprinting culturale, soprattutto quando vogliamo occuparci davvero della cura delle relazioni. Ha a che vedere con la pretesa che l’altro dovrebbe conoscere ciò di cui io ho bisogno, senza dover chiedere. Ha a che vedere con la paura del giudizio, con la credenza che esprimendo i propri bisogni essi perdano di valore e spontaneità o che addirittura essi vengano derisi.

Il mondo delle relazioni è complicato, non c’è che dire. Tutti noi ci mettiamo del nostro per renderlo ancora più intricato. Occorre uscire da questo atteggiamento, per fare del bene a noi stessi e al gruppo sociale nel quale viviamo. Ognuno può decidere autonomamente quanto vuole investire per riuscirci, è senz’altro una prerogativa e una responsabilità individuale. La decisione di non farlo obbliga però gli altri ad interpretare e a immaginare, esponendo tutti a situazioni potenzialmente a rischio di sentimenti di frustrazione e incomprensione.

Queste situazioni deleterie diventano poi delle importanti fonti di improduttività e insoddisfazione quando entrano sul posto di lavoro. Non c’è infatti ragione di credere che simili atteggiamenti restino confinati dentro le mura di casa o nella ristretta cerchia di amici e conoscenti. Gli atteggiamenti che mettiamo in atto nella vita entrano nel lavoro e viceversa, è innegabile.

Volevo crescere. Mi hanno regalato dei trampoli._2

Le imprese si stanno muovendo per promuovere il loro “Benessere organizzativo”, preoccupandosi di mettere in atto misure che abbiano cura dello stare bene fisico, sociale e psicologico dei propri collaboratori e delle proprie collaboratrici. Il primo passo per farlo in modo ragionato è senz’altro quello di discuterne in azienda, cominciando da un’analisi del clima aziendale e dei bisogni esistenti. Cominciare a mettere in atto misure senza questo passo ci espone al rischio di: “regalare trampoli a chi ha bisogno di crescere!”.

Le imprese e le organizzazioni del cantone Ticino hanno oggi un’opportunità da cogliere, grazie al programma Vita-Lavoro e alla piattaforma di servizi di welfare per le imprese AITI4Welfare.

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