Il treno probabilmente è già passato, ma non è detta l’ultima parola. La Cina detiene sul proprio territorio, o controlla all’estero, una parte significativa della produzione ed estrazione di materie prime strategiche. La produzione delle batterie elettriche per le automobili è in gran parte in mano ai cinesi, che godono dunque di un importante vantaggio sui costruttori europei e americani di automobili. Negli ultimi decenni l’occidente si è fatto sfilare diversi vantaggi di competenza e di mercato proprio dai paesi asiatici.
Interessante a questo proposito la storia dei microchip. Lo scorso 20 agosto il presidente americano Joe Biden ha firmato il “Chips and Science Act”, cioè una nuova legge che prevede l’erogazione di 53 miliardi di dollari all’industria nazionale dei chip, allo scopo di estendere la capacità produttiva negli Stati Uniti. La riduzione della dipendenza tecnologica dall’Asia è un tentativo di recuperare la leadership tecnologica americana.
Qualcuno forse ricorderà che nel 1968 furono proprio gli americani a creare l’azienda Intel e a lanciare poco dopo il primo microprocessore al mondo, facendo degli Stati Uniti la nazione leader nella produzione di semiconduttori. Questa leadership sostanzialmente è durata fino all’inizio degli anni duemila. Poi, il settore si è riorganizzato spostando la produzione in Asia e mantenendo negli USA progettazione, innovazione, ricerca e sviluppo. In realtà anche parte di queste competenze si sono spostate in Asia, ma resta il fatto che gli Stati Uniti hanno perso il controllo del processo di produzione, mentre Taiwan ha scelto di concentrarsi proprio su quello per diventare la centrale mondiale nella produzione di chip. Non bisogna pensare immediatamente alla produzione a basso costo, questo sarebbe un errore poiché in realtà Taiwan investe costantemente nel miglioramento della tecnologia di produzione e così facendo ha oggi un vantaggio di competitività difficilmente colmabile.
Le catene globali del valore sono il vero tratto distintivo della globalizzazione del nostro secolo. Queste catene non sono semplicemente un modo efficiente di organizzare la produzione, mantenendo al proprio interno le fasi di maggior valore e gestendo i differenziali di costo che collocano manodopera e fasi produttive in differenti paesi. In realtà, le catene del valore globali hanno anche importanti effetti strutturali sull’organizzazione industriale. Ad esempio, si constata che sempre più i centri di innovazione e sviluppo tecnologico nascono maggiormente fra le fila dei fornitori delle componenti considerate un tempo meno importanti. Questi centri diventano nuovi centri di potere tecnologico all’interno delle catene del valore. Il fatto di aver ben considerato le dinamiche di cambiamento dell’intero settore dei semiconduttori e di non aver concentrato le forze solo sulla gestione di una supply chain che riguardi l’efficientamento delle forniture e della logistica della singola impresa, spiega il successo mondiale di Taiwan, che oggi produce il 60 % del volume totale di chip nel mondo e il 90% dei chip più strategici per l’economia mondiale. Negli ultimi trent’anni Taiwan ha sviluppato strategicamente il settore dei semiconduttori come pilastro della propria competitività nazionale. Ingenti investimenti in ricerca e sviluppo e il reclutamento di ingegneri formati negli Stati Uniti e in seguito anche altrove, l’hanno fatto diventare la centrale mondiale della produzione dei chip. Non sarà facile per gli Stati Uniti e per l’Europa recuperare il terreno perso. E ben si comprende perché la Cina considera Taiwan parte integrante del suo territorio.