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Da oltre un ventennio, il Cantone Ticino mostra dei tassi di crescita del PIL di tutto rispetto.

Constatare che si produca sempre di più (quasi 30 miliardi nel 2020) è sicuramente positivo, ma dietro a questa crescita si nasconde anche una grande ombra.

Sospendendo per un momento il giudizio sulla relazione benessere-PIL, occorre sapere che per crescere ci sono due strade: produrre più beni e servizi immettendo nel sistema un numero maggiore di ore lavorative, oppure cercare in tutti i modi i sistemi per produrre di più per ogni ora lavorata.

La nostra economia, confrontata con la competitività internazionale, avrebbe tutto l’interesse ad optare per la seconda opzione.

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I dati ci dicono invece che in questi anni abbiamo basato la nostra crescita sull’aumento dell’occupazione. Una via forse non ideale che ha certamente portato con sé anche effetti negativi, ma è stata l’unica che il nostro territorio ha saputo percorrere, garantendo gettito fiscale, occupazione e un positivo indotto economico.

La possibilità per la nostra economia di trovare la risorsa “lavoro” sul mercato è stata in questi anni enormemente facilitata dalla vicinanza del Cantone Ticino ad un bacino di reclutamento molto ricco di profili qualificati come la Lombardia e il Piemonte.

Al momento si stanno però sovrapponendo tre fenomeni importanti, che rischiano di mettere a dura prova la possibilità per il nostro mercato del lavoro di poter disporre delle persone e delle competenze necessarie alle attività economiche:

 

  1. Popolazione attiva in drastico calo a causa del pensionamento previsto nel 2030 degli ultimi baby boomers e del saldo naturale estremamente debole in Svizzera e in Ticino.
  2. Diminuzione dell’attrattività del mercato del lavoro ticinese per i frontalieri italiani, dovuto al nuovo regime fiscale che dovrebbe entrare in vigore dal primo gennaio 2024; causato anche dall’assenza di accordi formali con l’Italia che facciano chiarezza sulle forme di lavoro smart e ci catapultano in pieno in modalità “dumb working”, e magari ancora aggravato dalle proposte di tassazione agevolata che alcune Regioni del nord stanno studiando per incentivare i lavoratori frontalieri a rientrare a lavorare in Italia.
  3. I grandi cambiamenti sul mercato del lavoro legati all’innovazione dei processi di produzione e alla digitalizzazione che porteranno molti lavoratori ad avere degli importanti divari formativi da dover colmare.

Non è un’ipotesi ma una certezza e, per quanto meno arginare il fenomeno, occorre con urgenza imparare ad includere le diversità, offrire possibilità di un’occupazione adeguata a coloro che vogliono rientrare nel mondo del lavoro e accogliere con riconoscenza chi desidera lavorare nel nostro territorio.

È importante aprirsi al mondo e ai cambiamenti, con curiosità e voglia di confronto, crescita e sviluppo personale.

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Si apre un’era in cui il lavoratore consapevole e ben formato verrà conteso dalle imprese, le quali cercheranno di attrarlo offrendo migliori condizioni di lavoro, maggiore flessibilità e autonomia, provando a fidelizzarlo ascoltando e rispondendo ai suoi bisogni.

Allo stesso tempo, questo sarà anche un periodo storico in cui alcuni non riusciranno a seguire l’enorme impulso dell’innovazione, perdendo così ritmo, intensità e competenze, rischiando di essere esclusi socialmente dovendo poi ricorrere a qualche forma di assistenza.

La Svizzera ha sempre saputo introdurre misure efficaci in occasione delle crisi provocate dai grandi cambiamenti. L’economia si è adattata, ristrutturata e anche reinventata. Il settore pubblico ha concepito nuove misure di accompagnamento, spesso pragmatiche e flessibili. Crediamo che questa reazione si stia manifestando anche in questo momento. I segnali ci sono, vorremmo solo che essa fosse più rapida e decisiva.

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