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La meritocrazia incrementa l’efficienza dell’organizzazione?

   
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La meritocrazia è spesso considerata un sistema ideale per assegnare opportunità, ruoli e riconoscimenti in base al merito, ossia ai risultati e alle competenze dimostrate, con una valutazione il più possibile oggettiva. Invocata da manager e politici, soprattutto nei momenti in cui l’ingiustizia sembra intollerabile, la meritocrazia promette di promuovere l’efficienza e di premiare il contributo concreto di ciascuno, in opposizione a sistemi che privilegiano amicizie, corruzione, privilegi di nascita o capacità di manipolare, e che si rivelano inefficienti.

Anche dietro questo sistema apparentemente giusto e risolutivo che premia il merito, si celano alcune ombre. Proponiamo un esempio semplice: Diego Armando Maradona, celebre calciatore, ha dimostrato doti eccezionali nel gioco del calcio. Ma se fosse nato nel 1600, avrebbe avuto poco merito nel saper palleggiare o dribblare, poiché in quel contesto storico le sue capacità non avrebbero avuto alcun valore. Probabilmente avrebbe lavorato come contadino o marinaio, poiché le sue abilità sportive non avrebbero trovato applicazione pratica.

Questo esempio fa risaltare il fatto che il merito non è direttamente collegato con il valore della persona, ma dipende anche dal contesto. Competenze che oggi apprezziamo e premiamo, potrebbero risultare irrilevanti domani, mentre altre, invisibili o sottovalutate, potrebbero emergere come cruciali in situazioni future. Queste competenze latenti rappresentano un potenziale inespresso, in attesa della giusta occasione per emergere. Se valutiamo esclusivamente in base al merito attuale, rischiamo perciò di trascurare persone che potrebbero risultare fondamentali in un futuro prossimo. L’innovazione sollecita spesso capacità che oggi possono sembrare marginali.

Anche la misurabilità del merito è una questione complessa: per esempio, sempre nel gioco del calcio, un attaccante verrà sempre premiato per i gol segnati, mentre il lavoro del difensore, essenziale ma meno visibile, sarà spesso sottovalutato.

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La meritocrazia ha dunque senso fino a un certo punto: premiare il merito è giusto, ma senza limitarsi alla valutazione dell’eccellenza attuale. Un buon manager deve saper riconoscere anche quelle risorse “nascoste” che potrebbero rivelarsi essenziali per l’evoluzione sociale, aziendale o tecnologica. Inoltre, deve considerare attività non immediatamente rilevanti ma fondamentali per il successo, come il saper costruire un ambiente di lavoro positivo, la capacità di soddisfare i clienti o il sostegno offerto ai colleghi.

In definitiva, un buon management non può fermarsi a premiare chi eccelle oggi, ma deve creare un ambiente che consenta alle competenze nascoste o difficilmente misurabili di sussistere nell’organizzazione, perché possano emergere quando sarà il momento. Escludere, o trascurare e demotivare, chi non brilla nell’immediato significa rinunciare alla possibilità di scoprire risorse preziose per il futuro. In un mondo complesso e in rapido cambiamento, è cruciale bilanciare il riconoscimento del merito attuale con una visione lungimirante, valorizzando anche le potenzialità latenti e quelle difficilmente misurabili.

Ben venga dunque la meritocrazia ma, come si dice, “cum grano salis”.

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