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Job hopping: da un lavoro all’altro

   
AITI
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Nel mondo ci sono paesi in cui i tassi di disoccupazione raggiungono numeri alti e preoccupanti, ci sono persone che fanno sempre più fatica a trovare un posto di lavoro o a cambiare quello che hanno.

Tuttavia, negli ultimi anni è emersa una figura che sembrerebbe andare controcorrente: il job hopper che, letteralmente, significa il saltatore di lavoro. Il job hopping è un fenomeno che sembrerebbe spopolare soprattutto tra le nuove generazioni di lavoratori, è nato negli Stati Uniti ed è sbarcato anche in Europa. Secondo una ricerca condotta da Bureau of Labor and Statistics (BLS), le persone di età compresa tra 25 e 34 anni rimangono nella stessa posizione per circa 2,8 anni. Questo dato sembra avere senso se si considera che, all’inizio della carriera, le persone cambiano frequentemente lavoro perché si concentrano sulla posizione ideale e sull’ambiente che offre loro le migliori soluzioni e aspettative.

Job hopping da un lavoro all’altro

Ma perché attira tanto cambiare continuamente lavoro? Alla base potrebbero starci dei problemi legati al luogo di lavoro o ai dirigenti. Una mancanza di riconoscimento del proprio lavoro da parte dei superiori, può essere una causa che spinge un impiegato a cambiare lavoro. Ma anche un’eccessiva mole di lavoro da svolgere, una cultura aziendale che differisce enormemente dagli ideali della persona, la scarsa possibilità di crescita e di carriera. Solitamente, nel primo anno di carriera sono tre i motivi per i quali un lavoratore decide di lasciare l’azienda: gli orari di lavoro, la retribuzione e la tipologia di professione, magari diversa dai loro sogni.

Tuttavia, come azienda bisognerebbe domandarsi se assumere un Job hopper possa essere un vantaggio o uno svantaggio. Un Job hopper potrebbe sembrare poco professionale, poco motivato, inaffidabile e potrebbe diventare un vero e proprio costo per l’azienda, vista la sua incertezza: è da ricordare, qualora si dovesse assumere un Job hopper, che questo potrebbe rimanere anche solo sei mesi nel contesto aziendale. Integrare nel proprio organico un Job hopper potrebbe però essere una carta vincente, soprattutto per le aziende dinamiche e innovative che puntano sulla flessibilità. Una persona che continua a cambiare lavoro, infatti, è assolutamente flessibile, curiosa, aperta e intraprendente. Solitamente, le prestazioni dei Job hopper sono migliori e più accurate rispetto agli impiegati presenti in azienda da lungo tempo, perché questa figura professionale è caratterizzata da grande motivazione e perché la sua capacità di apprendere è più alta rispetto agli altri. Inoltre, questa tipologia di lavoratore cerca costantemente opportunità migliori e offre risorse alle aziende dinamiche e flessibili. Ha anche una spiccata capacità di adattamento: si adegua velocemente ai nuovi processi, ai nuovi stili di gestione e alle nuove persone impiegate in azienda.

AITI_Job hopping da un lavoro all’altro

È evidente però che bisogna distinguere chi cambia lavoro per le giuste motivazioni (possibilità di fare carriera, volontà di imparare e applicare nuove capacità, lasciare un ambiente di lavoro malsano, ecc.) da coloro che hanno prestazioni scadenti o non hanno nulla da offrire all’azienda. Il compito delle risorse umane è di capire, qualora si presentasse a colloquio un Job hopper, se può essere una risorsa o un ostacolo per la crescita aziendale.

 

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