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Il profitto? Nelle aziende non (più) solo per gli azionisti

   
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181 fra le più importanti imprese e multinazionali americane hanno fatto parlare di loro nel mondo nelle scorse settimane. L’attenzione del business non deve essere rivolta esclusivamente agli azionisti, ma le imprese per creare valore devono guardare all’impatto ecologico delle loro azioni, rispettare i clienti e offrire condizioni di lavoro dignitose ai propri collaboratori.

La svolta del “The Business Roundtable”

Iniziamo subito con il precisare che fra agli azionisti ci siamo a pieno titolo tutti noi cittadini, in quanto i nostri fondi pensionistici investono anche nel mercato azionario e dunque sulle multinazionali.

AITI dipendenti e dividendi

“The Business Roundtable” è un tavolo di lavoro dove siedono numerose fra le più importanti multinazionali a livello mondiale che serve a discutere e decidere le politiche appropriate per fare bene il proprio business. Questo tavolo di lavoro assurse alla cronaca nel 1997, quando sotto la spinta delle politiche liberiste iniziate già negli anni settanta (Milton Friedman) sottolineò pubblicamente la grande centralità degli azionisti nella determinazione del business. Quell’eopoca è proseguita ancora a lungo, tanto è vero che durante le presidenze USA di Bill Clinton e di George Bush vennero discusse e approvate diverse leggi che hanno deregolamentato il mercato finanziario, all’origine in seguito della crisi dei mercati finanziari a partire dal 2008, che si trascina ancora ai giorni nostri.

Ma cosa sembra aver fatto cambiare rotta alle multinazionali americane? Perché una sorta di nuova carta etica del business? Quest’ultimo ha sicuramente oggi un problema d’immagine, che conta sempre più proprio a livello di affari e rendimenti. Le preoccupazioni crescenti per il peggioramento climatico, il rifiuto crescente delle pratiche del lavoro non rispettose delle persone, la spinta popolare a favore di un commercio etico non sono sicuramente estranee a questa evoluzione. Tuttavia sarebbe ingenuo pensare che le imprese già da tempo non abbiano riconosciuto la centralità dei propri collaboratori nello sviluppo del business. Collaboratori preparati e soddisfatti sono infatti alla base di una progressione degli affari.

Ma il capitalismo resta centrale

Chi legge il documento originale del “The Business Roundtable” ha tuttavia modo di constatare che la fede nel capitalismo resta in tutto e per tutto intatta. Il profitto, come è giusto che sia, rappresenta il fine essenziale dell’attività di un’impresa, perché senza profitto non ci sarebbero investimenti e dunque posti di lavoro. Il sistema del libero mercato resta il miglior modo per generare buoni posti di lavoro, una robusta e sostenibile economia, un ambiente in salute e opportunità economiche per tutti.

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La spinta verso il capitalismo inclusivo

La presa di posizione delle multinazionali americane potrebbe non essere estranea alla campagna elettorale che porterà alle elezioni presidenziali americane del 2020 e in particolare alla possibile scelta di un candidato democratico più radicale. Dall’altro lato, proprio le crescenti difficoltà economiche della classe media americana sono tali da preoccupare le multinazionali, non solo quelle del consumo. Ma a parte questo e come già detto, la spinta verso un capitalismo inclusivo è già in atto da tempo e l’emergere all’attenzione generale dei temi etici e ambientali è destinato ad accelerare questo processo.

Insomma, se il business vuole continuare a crescere non gli resta altro che prendere atto che azioni inclusive, etiche e solidali sono oggi e sempre più fattori di crescita dei mercati, mentre che le ricette del passato semplicemente danneggiano gli affari. Il business non sparisce ma si trasforma. Non parliamo pertanto di svolta epocale. Semmai prendiamo atto che capitalismo e libero mercato continuano a detenere una funzione centrale nello sviluppo dell’economia e della società.

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