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Il lavoro dopo il Covid-19

   
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La globalizzazione non è giunta alla fine dei suoi giorni, così come il mercato del lavoro non si è definitivamente precarizzato. Eppure, la pandemia da Covid-19 ha distrutto milioni di posti di lavoro nel mondo, provocando un calo dell’occupazione 14 volte maggiore rispetto a quanto successo con la crisi finanziaria del 2010. Alcuni paesi sono arrivati a un tasso di disoccupazione simile a quello raggiunto negli anni Trenta del secolo scorso durante la grande crisi. I timori che si sono generati e diffusi dalla primavera del 2020 sono ancora presenti: aumento delle disuguaglianze, tassi di disoccupazione che resteranno elevati, aumento del lavoro esternalizzato e maggiore automazione.

Il lavoro dopo il Covid-19

La ripresa economica in atto prima di tutto in Cina e negli Stati Uniti non è però un semplice rimbalzo che fa seguito alla frenata degli scambi commerciali degli scorsi dodici mesi. È qualcosa di più. Nella primavera del 2020 il tasso di disoccupazione negli USA aveva raggiunto il 15 per cento; attualmente il tasso è ridisceso al 6 per cento. La percezione dell’opinione pubblica americana è oggi quella che è più facile trovare un lavoro rispetto all’anno scorso, ma la stessa cosa sta avvenendo complessivamente fra la popolazione europea.

Lo sconquasso provocato dal Covid-19 sembra però anche indurre cambiamenti a livello politico e finanziario. Il piano a sostegno della ripresa economica dal presidente degli Stati Uniti indica la necessità di alzare i salari. Anche le banche centrali pur dovendo mantenere il loro obiettivo cardine che è la lotta all’inflazione, sempre più spesso mettono al centro delle loro politiche d’intervento i posti di lavoro. Il Fondo monetario internazionale è arrivato a parlare addirittura di tasse di solidarietà sulla ricchezza. Il capo di JP Morgan Chase, Jamie Dimon, una delle “big four” banche americane e la più grande azienda quotata a Wall Street, ha chiesto salari più elevati e non si riferiva agli amministratori delegati delle multinazionali.

Il secondo cambiamento nel mercato del lavoro indotto dalla pandemia è tecnologico. Da una parte si collocano i “catastrofisti” che sostengono che la pandemia causerà un’ulteriore precarizzazione del lavoro. Dall’altra parte vi sono invece quelli più ottimisti sull’evoluzione del mercato del lavoro. I dati e l’evoluzione storica smentiscono i catastrofisti. Nel 2019 due terzi degli americani si sono dichiarati soddisfatti della loro sicurezza sul lavoro; erano la metà nel 1999. Lo stesso si può dire dei lavoratori tedeschi e di quelli di altri paesi. I paesi con la maggiore quota di automazione, come il Giappone, hanno uno dei tassi di disoccupazione più bassi al mondo.

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Soprattutto a lungo termine la digitalizzazione fornirà una spinta positiva al lavoro. Gli investimenti tecnologici che vengono messi in atto da molti datori di lavoro avranno un effetto positivo sulla produttività e dunque anche sui salari.

Uscire economicamente e finanziariamente dalla pandemia sarà molto difficile, ma ci sono molti elementi per dire che il mondo del lavoro non se andrà definitivamente alla deriva.

 

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