In un articolo apparso a inizio gennaio, il quotidiano inglese “The Guardian” rifletteva sul declino dei laureati nel contesto dell’economia inglese e del fatto che questo “pubblico”, crescente, sarebbe quello a cui i partiti politici dovrebbero guardare con maggiore attenzione.
Questi cosiddetti “laureati senza futuro” chi sono, si domanda il giornale inglese? In tutto il Regno Unito vi sono 5 milioni di laureati che svolgono di fatto ruoli professionali da non laureati. L’idea che i laureati guadagnino più dei non laureati è in declino. I loro stipendi sono diminuiti negli ultimi vent’anni e la laurea, ad eccezione delle materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), di diritto, finanza e management, non è più un ascensore sociale.
Il fenomeno naturalmente non è solo inglese. Mentre la generazione degli anni sessanta e settanta è riuscita ancora ad agganciare la crescita economica perpetuando il meccanismo che li ha portati di fatto a guadagnare più dei loro genitori, questa progressione ha invertito la sua tendenza per i nati negli anni 80 e successivamente. I laureati di oggi – sottolinea The Guardian – affrontano salari stagnanti, hanno meno possibilità di avere risparmi o possedere beni rispetto ai genitori. Molti di loro riescono forse ad affittare una stanza in città oppure vivono nelle periferie o in campagna con i genitori.
Questa situazione come detto non è confinabile al solo Regno Unito, ma vi sono naturalmente delle specificità. Con l’abbandono del capitalismo industriale e produttivo e l’adozione da parte della Gran Bretagna di un modello economico grandemente basato sulla finanza e sulla gestione delle rendite patrimoniali e finanziarie anziché sulla produzione di beni, l’economia inglese ha finito per perdere prezioso know how ma anche forza competitiva legata ai processi d’innovazione industriale e di servizi non finanziari. Vengono alla mente naturalmente le fabbriche di automobili negli stati centrali degli Stati Uniti come in questo caso le accaierie che davano lavoro a decine di migliaia di persone nel Regno Unito. Tutto questo non per fare della nostalgia di un tempo passato che non tornerà, bensì per ribadire quanto si ripete regolarmente, ricordando quanto disse Nicolas Hayek quando prese in mano e salvò l’industria orologiera elvetica: l’economia svizzera farebbe un grande errore ad abbandonare la produzione industriale, da dove passa una parte importante dell’innovazione e della ricerca, cioè i motori della competitività economica, tanto più per una nazione come la Svizzera che non ha risorse naturali.
Il mondo a cui andiamo incontro ha sicuramente bisogno di una maggiore diffusione di competenze tecniche e scientifiche. Ma considerando pure che la demografia è in declino e l’occidente invecchia velocemente, considerando inoltre che non tutti i giovani desiderano o sono in grado di seguire una formazione tecnica e scientifica, la tecnologia deve aiutare nelle loro funzioni professionali anche chi segue una formazione differente.
Quanto accade nel Regno Unito e altrove non deve essere banalizzato. Da un punto di vista politico il cedimento della classe media apre scenari di instabilità e tensioni. Dal punto di vista economico e istituzionale occorre potenziare gli investimenti nella formazione delle persone.
Ma si deve trattare di una formazione che combina le fondamentali competenze di base, competenze professionali con un’accresciuta componente tecnico-scientifica e le competenze umanistiche-personali, che probabilmente faranno la differenza nei prossimi decenni. Si potrà continuare a studiare letteratura o psicologia ma si avranno pure competenze di intelligenza artificiale e si useranno computer quantistici con potenze di calcolo sempre più elevate.