Non stiamo certamente parlando del simpatico mammifero dal corpo tozzo e robusto, con il muso che ricorda quello di un formichiere, ma del costo del denaro.
Per contrastare l’aumento dell’inflazione le banche centrali dei quattro angoli della terra stanno aumentando i tassi di sconto. In altre parole, si rende più caro il costo da pagare per chi ha bisogno di avere denaro a credito. Un bel rompicapo: per combattere l’aumento dei prezzi si aumenta il prezzo del denaro, sembra davvero un controsenso.
Per raggiungere l’obiettivo di far diminuire i prezzi la banca centrale aumenta gli interessi per i crediti concessi alle banche commerciali. Queste ultime aumentano a loro volta gli interessi ai loro clienti. Alle persone che hanno contratto ipoteche, che hanno prestiti in conto corrente o altri generi di debiti, così come alle imprese che hanno chiesto finanziamenti per i loro investimenti, e anche allo Stato che deve sostenere il debito pubblico.
Insomma: ci rimettono tutti? Perché una simile mazzata autoinflitta? Quale è il ragionamento economico che ne sta alla base?
Le persone, le imprese e lo Stato, a causa dell’aumento degli interessi tenderanno a ridurre i loro debiti. Così facendo si ottiene l’effetto che in un sistema economico circoli meno denaro e che si cerchi globalmente di spendere meno, riducendo la domanda di beni e servizi. Quando la richiesta di un prodotto diminuisce, cosa tende a fare il venditore? Abbassare i prezzi per attrarre la domanda.
Et les jeux sont faits…..rien ne va plus. Davvero il caso di dirlo “rien ne va plus” pour tout le monde. Tutti ci perdono!
Le politiche economiche di tutti i paesi sviluppati applicano generalmente questi strumenti in un momento di grande espansione economica. Usano dunque la leva del freno quando la macchina economica procede così velocemente da produrre un surriscaldamento. Un momento in cui le cose vanno talmente bene che tutti sono ottimisti e credono in un futuro sicuro e promettente. Le imprese e le persone investono e spendono. Quando tutti spendono i prezzi si alzano, una controindicazione che non piace a nesuno e per questo le banche centrali intevengono.
La situazione attuale è però molto diversa. Non siamo in un momento di euforia economica, al contrario, proveniamo da una profonda crisi provocata dalla pandemia e siamo nel pieno di una guerra. I prezzi non sono provocati da una eccessiva quantità di moneta in circolazione, bensì dall’esplosione dei costi dei generi alimentari, dell’energia e dalla difficoltà di approvvigionamento di materie prime.
La Banca Centrale europea (BCE) ha aumentato a giugno i suoi tassi dello 0,25% e ne ha già annunciato un altro per settembre.
Nel corso del mese di luglio la Banca Nazionale svizzera (BNS) ha aumentato il tasso guida di mezzo punto percentuale a -0,25%. Era da 15 anni che i tassi non smettevano di scendere, arrivando addirittura ad essere negativi.
Sempre in luglio, la banca centrale degli Stati Uniti d’America (Fed) ha alzato i tassi dello 0,75%, portandoli al 2,25%.
Tutte manovre che, come abbiamo visto, hanno l’obiettivo di ridurre la domanda. Ma quanto è davvero riducibile la domanda di un bene come l’energia? Ci sono infatti beni il cui consumo è meno dipendente dal prezzo, sono quelli per i quali il consumatore ha sviluppato una dipendenza, rendendoli in qualche modo indispensabili.
Una cosa è già certa: l’aumento dei tassi forse farà qualcosa per ridurre l’inflazione, ma certamente non farà del bene all’economia.