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I dazi hanno vita corta?

   
AITI
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La politica dei dazi applicata alle merci importate nella storia non ha mai prodotto effetti miracolosi. Anzi, i pericoli per l’economia interna del proprio paese e per il potere d’acquisto dei propri cittadini sono sempre stati ben presenti. Del resto, sapevamo sin dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca che il tema dei dazi sarebbe ritornato ben presto in auge. Ma oggi più che mai, in un’economia globalizzata applicare dei dazi presenta molti rischi ed effetti negativi. Lo si è visto negli scorsi giorni quando il Presidente USA ha bloccato alcuni dazi verso il Messico dopo aver ricevuto la telefonata di alcuni produttori di auto americane, che acquistano componenti per le loro auto proprio in Messico. Evidentemente, applicare dei dazi all’importazione comporta un aumento dei prezzi negli Stati Uniti, con conseguenze rischio di inflazione e riduzione del potere d’acquisto dei cittadini. 

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Come sempre, una delle questioni più difficili da affrontare è l’incertezza che si crea, in particolare fra l’annuncio di possibili dazi e la loro introduzione o persino rinvio nel tempo. 

Per gli imprenditori la preoccupazione può essere doppia: sia come esportatori diretti di prodotti finiti, sia come fornitori di componenti e semilavorati ad esempio per l’industria europea, che a sua volta verrebbe colpita da dazi. Nel caso degli Stati Uniti siamo di fronte a uno dei principali partner economici e commerciali della Svizzera. Le aziende svizzere danno lavoro direttamente negli USA a oltre 300'000 persone, con un livello dei salari mediamente di 110'000 – 130'000 dollari e sono uno dei più importanti investitori negli Stati Uniti. Qui esportiamo principalmente prodotti farmaceutici e alta tecnologia, nonché prodotti del lusso come gli orologi.
Sono prodotti di cui l’economia americana ha bisogno oppure che i consumatori statunitensi vogliono. Anche per il cantone Ticino gli Stati Uniti sono un mercato importante, nella misura in cui non considerando i metalli preziosi e la loro lavorazione, esportiamo merci per un valore di 700 milioni di franchi all’anno. 

La Svizzera apparentemente ha meno da temere da una politica dei dazi applicata dalla nuova amministrazione americana, ma non bisogna dormire sugli allori. Innanzitutto perché il saldo della nostra bilancia commerciale con gli Stati Uniti è saldamente a nostro favore. In altre parole, esportiamo verso di loro molto più di quello che importiamo. Ad onor del vero, se prendiamo in considerazione la bilancia commerciale non dei prodotti bensì dei servizi, le parti si invertono. 

Inoltre, la Svizzera non applica dazi all’importazione sui prodotti industriali e su quelli farmaceutici, ragione per cui da questo punto di vista dovremmo essere un paese virtuoso agli occhi degli USA. Ma questo per  Trump potrebbe non bastare. La Svizzera fa buoni affari negli Stati Uniti e uno degli obiettivi principali dell’amministrazione americana è proprio quello di rafforzare la base produttiva negli USA, tagliando l’erba sotto i piedi alle aziende straniere, o meglio, dicendo loro “venite a produrre negli USA!”. Da qui la focalizzazione americana su dazi che colpiscano soprattutto l’importazione di prodotti. 

Per non correre rischi o perlomeno attenuare l’impatto di eventuali dazi, la Svizzera deve attivare la sua diplomazia, non solo quella politica bensì anche quella commerciale. Un passo importante sarebbe quello di sottoscrivere un accordo di libero scambio proprio con gli Stati Uniti, proprio per cercare di togliere dal tavolo la questione dei dazi. Ma ci vorrà tempo e nel frattempo bisognerà prestare attenzione prima di tutto ad eventuali dazi che venissero applicati ai nostri clienti principali, cioè l’industria europea.

 

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