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Ha senso bloccare le auto cinesi?

   
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L’economia cinese non sta riprendendo a grande velocità, eppure v’è un settore con il vento in poppa di cui stanno parlando tutti nel mondo e si tratta di quello delle auto, in particolare quelle elettriche. La Cina nel 2023 ha esportato oltre 5 milioni di automobili e Byd, la più grande casa automobilistica cinese, nel quarto trimestre dello scorso anno ha venduto mezzo milione di auto elettriche, più di Tesla. Entro il 2030 oltre un terzo delle auto vendute nel mondo potrebbe essere cinese.

Gli Stati Uniti e l’Unione europea naturalmente non stanno a guardare. Lo scorso mese di ottobre la Commissione europea ha aperto un’indagine sulle auto cinesi, generosamente sostenute dallo Stato. La Cina, si sa, non ama le regole del commercio internazionale e non si fa problemi a sussidiare interi settori dell’economia, come la produzione di acciaio e proprio le automobili.

Il presidente americano Joe Biden valuta la possibilità di aumentare ulteriormente i dazi all’importazione di auto cinesi, anche se a loro volta gli Stati Uniti non si fanno problemi a sostenere finanziariamente il settore automobilistico nazionale.

Che alla Casa bianca il prossimo mese di gennaio torni Donald Trump o meno cambierà poco.

I cinesi sono ritenuti responsabili della crisi del settore automobilistico in occidente e dunque ogni azione è buona per tentare di bloccare il gigante cinese.

Tuttavia, secondo gli esperti bloccare le auto cinesi sarebbe un errore. Prima di tutto perché il mercato dell’auto sarà stravolto indipendentemente dal commercio con la Cina. L’Unione europea infatti ha deciso che dal 2035 non sarà più consentito vendere auto a combustione interna. Ciò comporta una ristrutturazione del settore, che riguarda i posti di lavoro – l’auto elettrica richiede meno manodopera – e la filiera produttiva delle componenti, con il rischio di perdere preziosa esperienza pluridecennale e know how.

Ha senso bloccare le auto cinesi

In secondo luogo, se gli europei e gli americani acquisteranno più auto cinesi a minor costo, vorrà dire che avranno più soldi a disposizione per acquistare altri prodotti anche sui rispettivi mercati. Inoltre, una spinta maggiore verso la transizione ecologica attraverso la vendita di auto cinesi renderà più sostenibile finanziariamente proprio agli occhi dei consumatori occidentali la transizione stessa. L’auto elettrica più economica venduta in Cina da Byd costa circa 12’000 dollari, rispetto ai 39’000 dollari della Tesla più economica in America.

L’avvento delle auto cinesi potrebbe avere effetti benefici sull’occupazione anche al di fuori della Cina. Byd sta aprendo una fabbrica di produzione in Ungheria e altre marche cinesi si stanno orientando ad aprire fabbriche di produzione in nord America.

Le case automobilistiche europee, americane, giapponesi e sudcoreane avranno ancora lunga vita. La produzione di automobili certamente si ristrutturerà a seguito della transizione ecologica, ma in fondo c’è posto per tutti. Probabilmente, sta del resto già avvenendo, le marche premium, soprattutto quelle europee, si concentreranno sulle fasce medio-alte del settore, lasciando ai cinesi e ad alcune case automobilistiche occidentali il segmento delle utilitarie.

A fronte di questi scenari di evoluzione del settore automobilistico, restano però le incognite di fondo, tuttora irrisolte: riciclaggio ecologico delle batterie elettriche, produzione di energia elettrica per supportare la richiesta di energia per le auto, sviluppo della rete di colonnine di ricarica sul territorio. Più che i cinesi bisogna temere l’incapacità se non l’impossibilità di rispettare i tempi della transizione ecologica per mancanza di energia.

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