Tra intelligenza artificiale, mobilità e nuove aspettative, il rapporto tra giovani e lavoro si sta riscrivendo. Ma per costruire un futuro sostenibile serve un patto reciproco tra imprese e nuove generazioni.
La Generazione Z — i nati tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2010 — sta entrando nel mercato del lavoro in un momento di forti trasformazioni economiche e tecnologiche. È una generazione preparata, curiosa, orientata al futuro, ma anche più esposta che mai al cambiamento.
Secondo il Gen Z Report di Randstad Suisse, basato su un’analisi globale di oltre 11.000 giovani e 126 milioni di offerte di lavoro, le opportunità di ingresso nel mondo professionale si stanno riducendo: dal 2024 le posizioni entry-level sono calate del 29%. Un paradosso, in un periodo segnato dalla carenza di talenti.
Il lavoro dei giovani è oggi attraversato da un duplice movimento: ambizione e incertezza. L’85% dei Gen Z dichiara di valutare sempre gli obiettivi di carriera a lungo termine quando sceglie un nuovo impiego, ma il 41% afferma di non avere la fiducia necessaria per cercarne un altro. In parallelo, il 79% ritiene di poter apprendere rapidamente nuove competenze, ma molti si sentono esclusi da ruoli qualificati per mancanza di esperienza o formazione adeguata.

Un fattore decisivo in questa evoluzione è l’intelligenza artificiale. Se da un lato oltre la metà dei giovani la utilizza già per risolvere problemi lavorativi, dall’altro quasi uno su due teme che possa ridurre le opportunità di crescita. L’IA, insomma, è vista al tempo stesso come strumento e minaccia, acceleratore di possibilità e generatore di ansie professionali.
Questa tensione si riflette anche nei comportamenti occupazionali: la permanenza media in un posto di lavoro tra i Gen Z è di soli 1,1 anni — la più bassa di tutte le generazioni. Non si tratta necessariamente di mancanza di lealtà, ma di una continua ricerca di sviluppo e riconoscimento. È una generazione che cambia rapidamente quando la crescita si ferma, e che non teme di sperimentare strade alternative: il 31% preferirebbe combinare un lavoro stabile con un progetto personale o un’attività autonoma.
Per le imprese, la sfida è chiara. Non basta più offrire stabilità: occorre proporre esperienze di apprendimento continuo, percorsi di crescita trasparenti e una cultura organizzativa aperta al dialogo. Ma la responsabilità del cambiamento non può ricadere solo sulle aziende. La Generazione Z, da parte sua, è chiamata a coltivare la pazienza del costruire, la capacità di apprendere dai fallimenti e la disponibilità a impegnarsi in percorsi di crescita che richiedono tempo.
Solo da questo equilibrio – tra imprese che investono nel futuro e giovani che imparano a costruirlo – potrà nascere un nuovo patto generazionale, capace di rendere il lavoro davvero sostenibile per tutti.

