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L’equivoco del lockdown

   
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La pandemia ci ha messo tutti sulla medesima barca, ma ciò non ha impedito che a intervalli più o meno regolari si riproponesse la discussione fra il prevalere della tutela della vita umana rispetto alle esigenze dell’economia e dei lavoratori. Una diatriba in realtà artificiale, persino costruita ad arte e ingigantita, perché l’economia è fatta di cittadine e cittadini che lavorano e perché i danni della pandemia non sono legati solo alla malattia in senso stretto ma anche ai danni sociali, psicologici e di altro genere che il coronavirus sta provocando.

AITI_Lequivoco del lockdown

I fautori di un lockdown più o meno generalizzato, disposti dunque ad accettare il fallimento di migliaia di attività in Ticino, l’aumento della disoccupazione e la messa in difficoltà finanziaria di molte famiglie residenti nel nostro Cantone, affermano che basterebbe fare una chiusura totale di un mese per poi ripartire tutti insieme da un numero di infezioni più basso. È una supposizione sbagliata perché molto probabilmente un mese non sarebbe sufficiente; ne servirebbero di più, ma ciò comporterebbe la morte sicura di migliaia di attività economiche in tutta la Svizzera.

Del resto Germania, Inghilterra e altri paesi hanno chiuso molte attività a più riprese ma ciò non è servito. E poi c’è il fatto che in questa seconda fase, le persone manifestano chiaramente di non voler più accettare continue restrizioni, che sovente appaiono persino contraddittorie.

Le istituzioni del nostro paese devono ponderare i diversi interessi in gioco, principalmente da un lato quelli dei posti di lavoro dei cittadini e dall’altro lato la capacità del sistema sanitario di fare fronte alla pandemia, e prendere le decisioni più equilibrate possibili.

Dobbiamo essere consapevoli che sì la Svizzera ha finanze pubbliche sane e che lo Stato può permettersi un intervento finanziario straordinario di sostegno a molte attività economiche in difficoltà e ai cittadini, anche se dei criteri di selezione degli aiuti sono necessari. Ma dobbiamo anche sapere che questi debiti miliardari vengono caricati sulle spalle dei nostri figli e nipoti, già confrontati alla prospettiva di dover finanziare con il loro lavoro un numero crescente di pensionati. Bisogna dunque avere il coraggio di dirlo.

Lequivoco del lockdown

Un’altra affermazione in voga è quella di dire che si possono chiudere le attività non essenziali. Peccato che nessuno definisca cosa sia essenziale e cosa invece non lo sia. Un’azienda ticinese che deve fornire turbine a gas alla Russia per completare la costruzione di un gasdotto verso l’Europa occidentale e che se non dovesse rispettare il termine di fornitura dovrebbe pagare una penale di 100'000 franchi al giorno, può forse essere definita un’attività non essenziale? Evidentemente no!

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