Inudstry-concept

E se gli uffici openspace fossero una moda passeggera?

   
AITI
< Indietro

C’era una volta un’azienda innovativa, all’avanguardia e sempre un passo avanti. Un bel giorno, questa realtà pionieristica chiamò una ditta di demolizioni e le diede istruzioni chiarissime: distruggi e radi al suolo tutti i muri e le pareti divisorie. Perché? È ovvio: il futuro sta negli spazi aperti, nei famosi uffici openspace! La ragione è sotto gli occhi di tutti: meno divisioni, più collaborazione, più idee, più brainstorming, più fatturato!

 

Quel famoso giorno, quell’azienda lungimirante ha inconsapevolmente lanciato una moda. Sempre più realtà, dagli Stati Uniti a tutto il resto del globo, hanno modificato la disposizione dei propri uffici o cambiato sede pur di entrare nell’Olimpo degli openspace. E chi non ha seguito la scia di questo trend è antico, chiuso, poco strategico. La Svizzera e pure il nostro Cantone non sono da meno e ancora oggi (maggio 2021) si vedono cartelloni pubblicitari di aziende che si propongono di ridisegnare gli uffici e renderli più moderni (con annessa la fotografia di un openspace).

Colleghi lavorano in ufficio open space, alcuni di loro chiacchierano

Ma siamo sicuri che questo sia davvero il “must-have” dei luoghi di lavoro? L’utilizzo di termini come moda e trend non è affatto casuale. Diversi esperimenti, interviste e studi stanno via via smentendo i benefici presunti di lavorare in un openspace.

Tom DeMarco e Timothy Lister della società di consulenza Atlantic Systems Guild hanno realizzato i “Coding War Games”, un esperimento che ha lo scopo di scoprire quali caratteristiche distinguono i programmatori informatici bravi da quelli meno bravi. A questa “guerra” hanno preso parte 92 società e più di 600 sviluppatori. Ognuno di questi si è occupato di progettare, codificare e testare un programma durante l’orario di lavoro e soprattutto dalla propria postazione lavorativa usuale. A ogni programmatore è stato inoltre assegnato un collega della stessa azienda che lo avrebbe supportato nel lavoro con un’indicazione ben chiara: lavorate in autonomia e non comunicate tra di voi. Questi i risultati: i programmatori migliori, lo erano di 10 volte rispetto ai peggiori e di 2,5 volte rispetto alla mediana. DeMarco e Lister hanno ovviamente indagato sulle motivazioni che hanno portato a un divario così ampio e hanno dovuto escludere le più ovvie: esperienza, retribuzione e tempo impiegato a codificare l’algoritmo non hanno avuto alcun impatto sull’esito. Un dato in particolare ha acceso la lampadina dei due consulenti: i programmatori della stessa azienda avevano ottenuto risultati simili pur non avendo lavorato insieme. Quasi sempre i risultati migliori sono stati ottenuti dai dipendenti di aziende attente alla privacy dei propri collaboratori: spazi personali, controllo dell’ambiente fisico, poche interruzioni indesiderate. Il 62% dei programmatori più bravi ha in seguito dichiarato che la propria postazione lavorativa garantisce una riservatezza accettabile, rispetto al 19% dei peggiori. Il 76% dei peggiori ha dichiarato di venir spesso interrotto senza motivo sul posto di lavoro (tra i migliori, solo il 38%).

impiegato d'ufficio parla al telefono disturbando la sua collega che sta cercando di lavorare

Il fatto che questo esperimento sia stato eseguito in 92 aziende informatiche non deve però trarre in inganno: risultati simili sono stati ottenuti da studi eseguiti in altri settori e in diverse tipologie di aziende.

 

In sintesi, gli openspace hanno un impatto negativo sulla produttività e sulla memoria e spesso si traducono in un maggiore tasso di turnover del personale. Lavorare in uno spazio condiviso porta le persone a battibeccare di più con i colleghi, ad avere paura che qualcuno spii il proprio schermo o origli le telefonate e anche ad avere meno conversazioni confidenziali e di natura personale con i colleghi. Capita anche di dover sopportare dei rumori irritanti (dalla voce troppo alta del collega che passa il 90% del suo tempo al telefono al “vicino” di scrivania che mangia in continuazione patatine chips). Litigare con un collega, avere paura che qualcuno ci spii oppure dover sopportare rumori fastidiosi sono tutte azioni che portano a un rilascio di cortisolo, l’ormone dello stress.

Per ultimo abbiamo tenuto il fattore più attuale e vicino alla realtà che stiamo vivendo da oltre un anno: il maggior rischio di contrarre malattie contagiose se si lavora in un ufficio openspace. Le aziende organizzate in spazi aperti sono rimaste travolte, da un giorno all’altro, dall’impossibilità di lavorare come erano abituate. È partita la corsa all’acquisto del plexiglass e soprattutto all’attuazione del telelavoro. Pensiamo che ad oggi, in Svizzera, vige l’obbligo del telelavoro e di indossare una mascherina se in uno spazio di lavoro (ufficio, sala riunioni o area relax che sia) si trova più di una persona.

 

Ritornando al termine di moda, speriamo proprio che questa sia passeggera! Peccato che abbattere un muro sia più semplice di ricostruirne uno.

Altri articoli del blog