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Dazi USA: cosa sta succedendo?

   
AITI
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Dallo scorso 1° agosto, lo sappiamo, la Svizzera subisce l’applicazione di dazi al 39% per i nostri prodotti esportati verso gli Stati Uniti, tranne alcune eccezioni come ad esempio i prodotti farmaceutici, sui quali continua comunque a gravare un dazio del 10%. A tutto ciò bisogna assommare la debolezza del dollaro, che aggiunge un 10% circa ai dazi al 39%. Esportare negli USA costa dunque attualmente quasi il 50% ai clienti negli Stati Uniti. Una cifra che naturalmente essi non sono disposti ad assumere in gran parte.

Ma cosa sta succedendo nelle aziende ticinesi, soprattutto quelle maggiormente indirizzate all’esportazione e alla produzione per gruppi svizzeri ed esteri che a loro volta esportano nel mondo?

  • Al momento non sono state prese decisioni vincolanti. Le aziende stanno esaminando la situazione per valutare i possibili scenari a breve e a medio-lungo termine. Al dazio attuale del 39%, salvo alcune eccezioni, come ad esempio i prodotti farmaceutici, bisogna inoltre aggiungere il debole livello del dollaro, che di fatto aggiunge un ulteriore 10% almeno di penalizzazione sui prodotti svizzeri esportati negli Stati Uniti.

  • Sono stati intrapresi contatti con i rispettivi clienti per discutere la situazione e la possibile ripartizione del dazio sul prezzo dei prodotti forniti.

  • Contatti sono in corso con le imprese e i gruppi ai quali le aziende dal Ticino riforniscono componenti e prodotti che poi finiscono in prodotti finiti destinati al mercato americano. Anche qui per comprendere la situazione e la reazione delle aziende clienti.

  • Se la situazione non muta nel giro di qualche settimana o al massimo di pochi mesi (cioè il dazio del 39% viene ridotto in maniera significativa), potrebbe entrare in linea di conto per diverse aziende uno spostamento provvisorio di parte della produzione all’estero, in particolare nell’Unione europea, soprattutto per chi già dispone di una sede produttiva nell’UE che, ricordiamolo, è soggetta attualmente “solo” a un dazio del 15%. Lo spostamento parziale potrebbe però avvenire direttamente negli USA per avere il minor valore possibile della parte di prodotto sottoposta a dazio. Ma questa è una situazione che può riguardare singole aziende.

  • Una parte delle aziende indica di avere già portato a termine la produzione e magari già l’invio della merce destinata al mercato degli Stati Uniti per l’autunno e la seconda parte del 2025. In questo caso non si applica il dazio del 39%. Il problema si pone forse per l’ultima parte del 2025 e soprattutto per il 2026. Qualora la situazione dei dazi non dovesse mutare (migliorare) indicativamente nei prossimi mesi (autunno), potrebbero entrare in linea di conto delocalizzazioni più o meno definitive, con conseguente perdita di posti di lavoro in Svizzera e in Ticino

  • Sempre nel caso in cui la situazione con gli Stati Uniti non dovesse migliorare nel tempo, strategicamente le imprese potranno rivalutare il proprio modello di business, riorientando magari l’attività verso mercati differenti. Decisione che tuttavia richiede tempo e deve essere pianificata accuratamente.

  • A livello interno si auspica naturalmente di poter disporre rapidamente dello strumento dell’orario di lavoro ridotto (che è già stato esteso a 18 mesi sino alla metà del 2026 e sarà probabilmente prolungato a 24 mesi). Detto strumento è molto utile per mantenere l’occupazione. Lo scenario di incertezza causato dai dazi applicati dagli USA è però tale da far dire alle aziende che questo strumento non sarebbe comunque sufficiente per fermare eventuali processi di delocalizzazione parziale o totale. L’orario di lavoro ridotto in altre parole non può essere uno strumento decisivo a medio e lungo termine per decidere di mantenere la produzione in Svizzera.

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La situazione di una parte importante dell’economia ticinese è dunque seria. Solo con una diminuzione dei dazi applicati dagli Stati Uniti ai prodotti svizzeri sarà possibile evitare uno scenario di trasferimento definitivo di attività economiche all’estero. Lo strumento dell’orario di lavoro rappresenta infatti un tampone provvisorio di una ferita che continuerebbe a sanguinare.

Soprattutto l’autorità federale è chiamata, nel giro di poche settimane, a portare a termine un nuovo round negoziale con gli Stati Uniti che permetta di ridurre i dazi attuali del 39%, perlomeno della metà. Dovranno probabilmente essere decise delle contropartite in termini di investimenti negli Stati Uniti e di acquisto di armamenti americani. Ma l’export crea oltre il 50% del nostro prodotto interno lordo e dunque è dovere delle autorità elvetiche tutelare questa ricchezza.

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