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Dal mobbing al bossing: la violazione dell’integrità personale

   
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La legge sul lavoro (LL) parla chiaro. All’articolo 6 capoverso 1 decreta che è responsabilità del datore di lavoro prendere i necessari provvedimenti per tutelare l’integrità personale dei lavoratori. L’obbligo prevede che il datore di lavoro metta a disposizione strutture lavorative tali da permettere ai collaboratori di sentirsi rispettati e apprezzati e adotti provvedimenti a sostegno di chi subisce molestie.

 

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO), in una sua pubblicazione, cerca di illustrare sia ai datori di lavoro che ai dipendenti che cosa si intende per violazione dell’integrità personale e quali possono essere le misure di intervento o prevenzione.

Dal mobbing al bossing

Heinz Leymann, psicologo del lavoro che per primo ha diffuso il termine mobbing nelle sue pubblicazioni, suddivide gli attacchi all’integrità personale in cinque categorie:

  1. attacchi alla possibilità di comunicare (p. es. non lasciar parlare, interrompere, sgridare, non fornire informazioni)
  2. attacchi alle relazioni sociali (p. es. rifiuto di contatto in generale, non salutare, ignorare, emarginare, isolare)
  3. attacchi all’immagine sociale (p. es. ridicolizzare una persona, diffondere voci infondate, punzecchiare, offendere, fare osservazioni sprezzanti)
  4. attacchi alla qualità della situazione professionale e privata (p. es. affidare lavori vessatori e umilianti, criticare ingiustamente, sottrarre compiti importanti)
  5. attacchi alla salute (p. es. minacciare o fare uso di violenza fisica).

 

Non sempre è facile individuare questi atteggiamenti – a volte possono anche essere molto sottili o passivo-aggressivi – e non sempre si può parlare di mobbing. Quando è il caso, è importante che ai collaboratori sia chiaro che possono rivolgersi a qualcuno in azienda per confidarsi, chiedere sostegno e denunciare l’atteggiamento in maniera confidenziale. In prima istanza questa persona potrebbe essere il responsabile delle risorse umane, ma solitamente è necessario rivolgersi alla direzione dell’azienda.

 

Ma cosa succede se un collaboratore è vittima di mobbing proprio da parte di un dirigente, di colui che avrebbe l’obbligo di tutelarlo secondo la legge sul lavoro? Il mobbing perpetrato da un proprio superiore assume il termine di bossing e risulta essere quello più difficile da gestire e da denunciare. In generale, ma nello specifico per questi casi, sarebbe utile che l’azienda avesse una persona di fiducia, che possa garantire al 100% la confidenzialità e l’imparzialità nel trattare il caso. Maggiori informazioni e consigli in merito sono disponibili nella pubblicazione della SECO precedentemente citata, che elenca anche degli organi esterni all’azienda che potrebbero intervenire.

AITI_Dal mobbing al bossing

In cosa si differenzia, però, il bossing?

 

In primo luogo, il bossing potrebbe essere più difficilmente riconoscibile e confuso per la convinzione che il proprio capo sia semplicemente una persona forte, dal pugno di ferro, che si comporta in un determinato modo per spingere i propri collaboratori a raggiungere i risultati prefissati. Vi sono però alcuni atteggiamenti che potrebbero indicare un potenziale caso di bossing e che si aggiungono a quelli del mobbing:

  • Impedire la crescita e il successo all’interno dell’azienda (p. es. non concedere una promozione meritata per paura di perdere il controllo sul collaboratore)
  • Sabotare il lavoro (p. es. dare degli obiettivi impossibili e delle deadline irraggiungibili oppure fornire informazioni frammentarie o confuse sui compiti da eseguire per indurre il collaboratore in errore)
  • Sminuire o appropriarsi del lavoro altrui (p. es. bocciare un’idea anche se valida; prendersi i meriti per un successo o un’idea del collaboratore)
  • Violare la privacy (p. es. sfruttare la propria posizione di potere per accedere a informazioni confidenziali come l’e-mail e la corrispondenza del collaboratore)
  • Mettere in dubbio l’impegno e la dedizione del collaboratore (p. es. tramite delle osservazioni sulla quantità di ore lavorate o sul poco sacrificio del tempo libero a favore di quello lavorativo).

 

Questi sono solamente alcuni esempi di comportamenti nocivi ma, indipendentemente che si tratti di mobbing o bossing, l’importante è agire.

Deve agire il collaboratore per tutelare la propria salute fisica e psichica e la propria serenità: parlare, denunciare, e se nulla si risolve e se è possibile, cambiare lavoro.

Deve agire l’azienda, perché un collaboratore sereno è un collaboratore fedele e produttivo.

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