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COVID-19 vs Sostenibilità 3:0. I 17 obiettivi dell’agenda 2030 sepolti da un virus?

   
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Nel 2015 è successo qualcosa di grande. I 193 paesi membri dell’ONU hanno sottoscritto l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Essa ingloba 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e ben 169 traguardi concreti che i firmatari si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.

Non si tratta di un trattato internazionale che impegna i paesi firmatari in modo vincolante, ma di un’operazione di sensibilizzazione culturale su scala planetaria, che mira a generare una visione ampia e condivisa del legame indissolubile fra sviluppo economico sostenibile, giustizia sociale e protezione ambientale.

I trattati vengono combattuti, osteggiati o, come ci insegna la cronaca, semplicemente denunciati; qui si tratta di educare, creare una direzione attraverso la socializzazione e la diffusione di approcci virtuosi, radicati nei comportamenti e nelle azioni, un nuovo modello sociale insomma.

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Sono passati 5 anni dalla sottoscrizione dell’Agenda 2030 e la Svizzera ha fatto passi nella buona direzione, soprattutto in materia di salute, istruzione, energia, occupazione, infrastruttura e innovazione ma deve fare ancora molto per esempio nell’ambito dello sfruttamento non sostenibile di risorse, nell’orientamento dei consumi e alle condizioni di produzione per i beni importati in Svizzera. Tutti gli indicatori dicono però che siamo lenti, molto lenti, e il traguardo del 2030 è vicino, molto vicino.

Abbiamo davanti ancora 10 anni e il COVID-19 si è già mangiato una gran fetta di questo tempo che ci resta. La crisi economica che ha generato, della quale non abbiamo ancora tutti visto gli effetti, rappresenta un duro colpo per quasi tutti i 17 Sustainable Development Goals (SDGs). La recessione economica è davvero un brutto contesto per favorire la lotta alla povertà (1), la sicurezza alimentare per tutti (2), il benessere di tutti a tutte le età (3), un’istruzione di qualità (4) e l’uguaglianza di genere (5), solo per citare i primi cinque dei 17 obiettivi.

Stiamo assistendo infatti a un aumento considerevole della disoccupazione, a iniziative che portano il paese verso una maggiore chiusura e una minore solidarietà internazionale, ad annunciati aumenti dei costi della salute che rendono ancora più teso il dibattito sul diritto di tutti ad accedere alle cure. Le scuole si domandano come fare ad assicurare l’insegnamento e a trovare i finanziamenti e le competenze per garantire la formazione a distanza e le donne hanno pagato maggiormente lo scotto delle misure di protezione decise dalle autorità per far fronte all’emergenza, sia in termini di sacrificio della loro vita professionale, sia in termini di maggior carico gestionale e organizzativo della famiglia.

La frenata sulla strada del raggiungimento degli obiettivi ONU è seria. La pandemia ha spostato le priorità dei governi e delle imprese, ora alle prese con il rebus degli enormi debiti pubblici e dei fatturati martoriati.

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Una cosa è però forse successa, il virus ha portato nel quotidiano le interdipendenze fra l’economia, la socialità e l’ambiente. Tutti hanno visto con i loro occhi l’aria ripulirsi parallelamente alla diminuzione dei propri conti in banca e vissuto la sensazione di essere sostenuti, con ammirevole sollecitudine (parlando della Svizzera), da aiuti sociali come l’indennità per lavoro ridotto, la disoccupazione, l’indennità di perdita di guadagno. Molti hanno reagito con manifestazioni di solidarietà, pensando prima a dare che a ricevere.

Proprio da qui occorre ripartire, con il contributo di tutti. Che lo Stato decida, dando l’esempio e creando le migliori condizioni quadro possibili per una maggiore sostenibilità futura, i cittadini e le cittadine capiscano che i comportamenti individuali hanno un enorme influsso sulla socialità, sull’economia e sull’ambiente. Le aziende mantengano i loro programmi e progetti di CSR o approfittino della grave crisi per rivedere in profondità il loro modello di business.

E che tutti tengano presente che la responsabilità è condivisa, non si ceda alla tentazione di attribuirla tutta alle imprese.

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