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Cosa è e quanto vale il “know-how” di un’impresa?

   
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“Know-how” è l’abilità nello svolgere un compito. Si tratta spesso di un patrimonio che sfugge al nostro controllo. Per esempio: pur non sapendo ciò che accade quando lo facciamo, quali muscoli muoviamo, quali centri di controllo dell’equilibrio si attivano e intervengono a correggere ogni movimento, noi camminiamo. Per la quanto riguarda la trasmissione di questo “know-how”, non insegniamo ai nostri figli a camminare attraverso le parole, i concetti, i modelli, le spiegazioni. Li sosteniamo mentre loro ci guardano, ci imitano e acquisiscono a loro volta questa abilità. Così spiega Ricardo Hausmann, direttore del Center for International Development della Harvard University.

Come si traduce questo fenomeno in un’impresa industriale? Il “know-how” è ciò che permette di trasformare un input (materie prime ed energia) in un output (prodotto) attraverso i processi e che ha la sua componente umana nel punto in cui ad essi si associano i compiti – ossia quella parte dei processi che viene svolta dai lavoratori. Ed è proprio in questo punto che ciò che è calcolabile, prevedibile e pianificabile, sfuma nell’indeterminatezza. Una parte di esso non si trova infatti in nessun manuale o direttiva, ma risiede nelle persone. Questo lo rende un patrimonio a forte rischio, tanto più grande quanto maggiore è la “specializzazione” richiesta a ogni singolo lavoratore.

Cosa è e quanto vale il “know-how” di un’impresa

Uno degli obiettivi dell’organizzazione taylorista del lavoro, la cosiddetta “catena di montaggio”, era quello di minimizzare questo rischio, analizzando nel dettaglio i processi e facendo in modo che ogni singolo operatore svolgesse in modo ripetitivo soltanto dei compiti elementari. L’ideale era che con questa organizzazione fosse semplice formare gli operatori (ed eventualmente sostituirli), fornendo all’azienda il massimo controllo del proprio “know-how”. Questa concezione presupponeva però che i compiti da svolgere rimanessero sempre gli stessi per un tempo molto lungo, dato che ogni cambiamento avrebbe comportato la revisione di tutta la “catena”, con costi poco ragionevoli. Non a caso Henry Ford sosteneva: “i miei clienti possono chiedermi un’auto di qualunque colore la desiderino, purché sia grigia”.

L’evoluzione dell’economia e del mercato hanno sancito la sconfitta di questo ideale. Le aziende che si sono dimostrate vincenti sono quelle che hanno saputo dimostrare flessibilità e capacità di adattamento. Quindi: non quelle che hanno saputo minimizzare il rischio legato al “fattore umano”, bensì quelle che hanno saputo valorizzarlo, con la conseguenza però che, nella maggior parte delle aziende e principalmente in quelle medio-piccole, una parte rilevante del know-how è da considerare un patrimonio sotto controllo dell’azienda soltanto nella misura in cui vi rimangono le persone che, per così dire, lo “racchiudono”.

Cosa è e quanto vale il “know-how” di un’impresa (2)

Esistono diverse metodologie empiriche che consentono di calcolare il valore del know-how in funzione delle capitalizzazioni di bilancio, oppure nel caso in cui debba essere determinato il valore dell’azienda in vista di passaggi di proprietà. Tuttavia, spesso queste metodologie non riescono ad afferrare quella parte “immateriale”, che se ne andrebbe con i lavoratori, se questi decidessero di “abbandonare la nave”.

Per una valutazione di stima, l’ipotesi di calcolo dovrebbe considerare il tempo e i costi necessari a sostituire una parte, o tutto il personale. Un’approssimazione determina questo valore in un importo tra le cinque e le venti volte quello della massa salariale annua. Un valore ovviamente soggetto a diverse variabili, tra cui l’eventuale difficoltà nell’individuare personale qualificato sul mercato del lavoro.

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