Superato anche l’ostacolo del Tribunale federale, che ha bocciato alcuni ricorsi, la legge sul salario minimo cantonale, già in vigore dal 1° gennaio di quest’anno, sarà applicata dal 1° dicembre. Circa 230'000 posti di lavoro, di cui 190'000 a tempo pieno; il salario minimo si applica a circa 11'000 persone, di cui 7'000 sono persone residenti all’estero, in massima parte in Italia. Il salario minimo, occorre dirlo, riguarda quindi una chiara minoranza delle lavoratrici e dei lavoratori e quelli residenti ne trarranno direttamente un beneficio inferiore.
Il salario minimo obbligatorio è argomento controverso in tutto il mondo e porta in sé sia aspetti positivi sia negativi. Le persone che dal mese di dicembre si vedono alzare lo stipendio minimo sicuramente hanno un beneficio diretto; al di sotto di una determinata soglia non si può più andare. Ma un’azienda ragiona sull’intera massa salariale e non solo sul singolo stipendio. Nella misura in cui il maggior costo derivante dal salario minimo deve essere recuperato sulla massa salariale per questioni di competitività, è evidente che i salari superiori al minimo rischiano di essere plafonati se non addirittura ridotti.
E in queste fasce salariali superiori la proporzione di persone residenti in Ticino è chiaramente superiore.
Non bisogna comunque perdere il senso delle proporzioni, perché come detto all’inizio, il salario minimo concerne poco più del 5 % della popolazione lavorativa.
Ora che la legge cantonale sul salario minimo esplica i suoi effetti, bisognerà verificare quali saranno le conseguenze.
Un possibile effetto è appena stato citato, ossia l’appiattimento della curva salariale. Vedremo anche se le aziende faranno ricorso a maggiore automazione e se personale maggiormente qualificato sarà assunto al posto del personale meno qualificato.
Inoltre, quale sarà l’effetto sull’occupazione? Si perderanno davvero dei posti di lavoro? E il salario minimo non rischierà di attirare ancor più manodopera dalla vicina Italia, visto che queste persone potranno guadagnare in fine dei conti almeno 3'000 euro al mese, cioè uno stipendio che in Italia nemmeno un professore universitario riceve? Staremo a vedere.
Al di là della pur importante questione salariale, resta il quesito di fondo: come migliorare una situazione economica e sociale che molti ritengono insoddisfacente? Non possiamo fare astrazione dal fatto che in Ticino oltre il 90 % delle aziende sono imprese fino a 10 dipendenti, cioè 36'000 aziende su 40'000. Il loro potenziale di crescita esiste ma non è infinito. Dobbiamo per forza di cose accrescere più diffusamente il valore aggiunto prodotto da tutti i tipi di azienda, avere maggiore produttività del lavoro e del capitale, agire sulla formazione professionale, creare più diffusamente prodotti e attività che permettano margini di guadagno superiori, che a loro volta consentono investimenti e condizioni di lavoro migliori. Facile a dirsi, molto più difficile a farsi. Certamente non riusciremo a raggiungere questi obiettivi se si continuerà a litigare e a fare inutile polemica come avviene sovente in Ticino. L’unica strada sensata è quella di unire le forze: istituzioni, politica, economia e società, cioè tutti noi cittadini.