È ormai diventato di uso comune il verbo inglese to cope, che può essere tradotto, spesso in ambito psicologico o mentale, con espressioni come “gestire”, “affrontare”, “farcela”. Il coping è il modo in cui mente, emozioni e rappresentazioni si adattano quando debbono affrontare una realtà complessa, stressante, faticosa.
In certi contesti questa azione della nostra mente prende una forma specifica. Nei regimi autoritari — così come nelle famiglie, o in team aziendali rigidi e ambienti professionali soffocanti — i nostri complessi meccanismi di coping possono generare profonde trasformazioni interiori, spesso del tutto inconsapevoli e involontarie. Perché per gestire la sopravvivenza in un ambiente in cui non c'è spazio per opinioni divergenti, il soggetto deve convincersi che la realtà che lo governa sia l'unica dotata di senso.
Quando non è possibile opporsi, quando il dissenso è pericoloso o deriso, e potrebbe comportare l'esclusione dal gruppo cui si appartiene, uno dei modi per sopravvivere è interiorizzare la narrativa dominante, facendola propria. Così, l’opinione imposta diventa verità condivisa non per convinzione, ma per un meccanismo automatico di protezione psichica al quale molti membri del sistema sono soggetti.
Questa dinamica è stata esplorata a fondo dalla psicologia sociale. L’esperimento più significativo in tal senso è quello condotto da Solomon Asch negli anni ’50, ed è illustrato in un celebre video facilmente reperibile online, ormai diventato materiale di riferimento negli studi di psicologia sociale. Ai partecipanti veniva chiesto di giudicare la lunghezza di alcune linee. Quando tutti gli altri — complici dell’esperimento — davano una risposta chiaramente sbagliata, la maggior parte dei soggetti sperimentali si adeguava, modificando la propria percezione pur di non rischiare l’esclusione dal gruppo. Asch dimostrò così come la pressione sociale potesse essere determinante nel piegare il giudizio personale.
La psicologia sociale ha indagato anche sui meccanismi di Groupthink: una dinamica collettiva che spinge i membri di un gruppo a evitare il conflitto e a conformarsi, anche quando ciò significa rinunciare al pensiero critico. Il fenomeno venne studiato quando gli americani si chiesero come mai i loro generali non avessero saputo prevenire l'attacco di Pearl Harbor, e sembra siano dovute a fenomeni di Groupthink alcune delle più gravi catastrofi dirigenziali dei recenti decenni, dal “Grounding” di Swissair alla “crisi subprime” del 2008. Adagiandosi sulla propria supposta superiorità o legittimità, un gruppo eradica il dissenso dal proprio interno, perde gradualmente contatto con la realtà, e finisce per schiantarsi irrimediabilmente. È accaduto nelle crisi politiche, nelle decisioni catastrofiche prese da team dirigenziali, e accade ogni giorno nelle riunioni da cui gradualmente scompare chi dice “non sono d’accordo”.
Negli ambienti autoritari, questi fenomeni possono manifestarsi in modo estremamente radicale. Per sopravvivere (to cope) in una situazione in cui si vive senza contraddittorio, alcuni possono adattarsi e fingere, ma per una certa ed importante percentuale di persone (che può raggiungere il 30%) il coping non è solo conformismo esteriore: è ristrutturazione profonda della percezione e della coscienza. Queste persone smettono di vedere un’opinione come tale e cominciano ad adottarla come propria verità, perché la loro sopravvivenza psicologica passa per la cancellazione di un dubbio che potrebbe essere doloroso assecondare. Così, molti cittadini finiscono per sostenere con convinzione un regime che li opprime. Non è solo l’effetto della propaganda, ma una forma istintiva e automatica di adattamento che serve a sopravvivere.
Lo stesso fenomeno si verifica in tutti i sistemi nei quali il leader è autoritario, il dissenso non ha spazio, le riunioni sono teatrini del consenso. In questi contesti, i meccanismi del coping generano la necessità psicologica di aderire.
Per questo, uno dei valori fondamentali della democrazia — la libertà di espressione e la tutela del dissenso — non è solo una questione morale, ma una forma essenziale di prevenzione che contrasta una naturale inclinazione al conformismo. Una misura di risk management. Senza il dissenso, come ormai la storia ha ampiamente dimostrato, il sistema potrebbe essere diretto verso un baratro, senza esserne consapevole.
E così come accade per le Nazioni e le organizzazioni politiche, le famiglie e i gruppi di amici, lo stesso vale peri team di lavoro e le imprese: la salvaguardia del dissenso potrebbe essere l’unica garanzia di sopravvivenza a lungo termine.